Questa la direzione verso cui una sentenza della Corte di Cassazione ha spinto il Bel Paese per adeguarlo ai principi del Trattato di Lisbona. Grande soddisfazione da parte del mondo politico, ora serve una modifica legislativa
24.09.2008
Roma - L'Italia potrebbe definitivamente accettare la trasmissione del cognome materno nel caso in cui i genitori, concordemente, optino per questa scelta. A compiere un importante passo in questa direzione una sentenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione che già in passato, nel 2006, si era pronunciata in materia, ma aveva poi rimandato al Legislatore il compito di rendere possibile l'attribuzione del cognome materno tramite l'adozione di una nuova norma. Nonostante il Parlamento non abbia ascoltato questo suggerimento, la ratifica del Trattato di Lisbona, avvenuta il 13 dicembre del 2007, renderebbe ormai obbligatorio per l'Italia compiere questo passo in modo da uniformarsi ai principi di non discriminazione vigenti nell'Unione europea.
La Suprema Corte, infatti, con l'ordinanza 23934, parte dal presupposto che, essendo "mutato il quadro delle norme comunitarie", è necessario "adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari, compresa la scelta del cognome", al fine di rispettare i parametri del nuovo quadro, fra cui quello di impedire "ogni discriminazione fondata sul sesso". Proprio la ratifica del Trattato di Lisbona, che ha modificato il trattato sull'Unione Europea e quello istitutivo della Cee, darebbe quindi direttamente ai giudici il potere di rimuovere, disapplicandole, o avviando gli atti alla Consulta, quelle norme che contrastano con i principi comunitari. "In realtà - secondo quanto sostenuto da Guglielmo Picchi, deputato del Pdl eletto nella ripartizione Europa - la sentenza della Corte non fa direttamente giurisprudenza, visto che in ogni caso serve un intervento normativo, però va nella direzione giusta", ma soprattutto appare un incentivo molto più forte nei confronti del Legislatore rispetto a quello del 2006.
La pronuncia della Cassazione, che nella sentenza ha definito il patronimico come il "retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non più in sintonia con l'evoluzione della società e le fonti di diritto soprannazionali", è avvenuta in seguito al ricorso di una coppia milanese, Alessadnra Cusan e Luigi Fazzo, a cui due volte la Corte d'Appello di Milano ha impedito di attribuire il cognome materno al proprio figlio. Concorde con questa visione l'On. Picchi per cui è ormai necessario "superare l'impostazione della famiglia patriarcale".
Soddisfatto il mondo politico di entrambi gli schieramenti. L'On. Picchi si è detto "assolutamente d'accordo" con questa sentenza "visto che eravamo rimasti l'unico paese europeo dove ciò (l'attribuzione del cognome materno, ndr) non era possibile". Anche l'On. Laura Garavini, deputata del Pd eletta nella ripartizione Europa, ha definito "estremamente positiva" l'azione dei giudici della Cassazione trattandosi di "un segnale di modernizzazione". "Io - ha aggiunto -sono stata promotrice di una interrogazione che andava proprio in questa direzione, perciò la soddisfazione è ancora maggiore".
L'azione giudiziaria se da un lato rimette l'Italia al passo con l'Europa, dall'altro sembra sottolineare il ritardo dell'organo legislativo del Bel Paese. A questo proposito, però, l'On Garavini ha ricordato che "avevamo già pronta una proposta di legge che abbiamo presentato in coincidenza con questa sentenza. Proposta preparata insieme alla collega Sereni (Pd) ed alla collega Sesa Amici (Pd)". Anche Picchi ha ribadito che le iniziative in questa direzione non sono mancate ed ha ricordato che "già nella scorsa legislatura avevo co-firmato alcune proposte di legge per rendere possibile ciò ed anche ora ho firmato l'ultima proposta presentata da alcuni colleghi".
La sentenza potrebbe essere quindi la molla finale capace di spingere il Legislatore a completare un lavoro spesso accennato, ma mai completato perché, ha sottolineato Garavini, "è opportuno che anche in Italia si possa avere finalmente una legislazione che riguarda i cognomi capace di tenere in conto la volontà dei genitori di poter assegnare ai figli il cognome materno o eventualmente il doppio cognome". Per Picchi questo lavoro normativo andrebbe esteso oltre: "Credo che si debba mettere mano a tutta la legislazione riguardante il diritto di famiglia per quello che riguarda in particolare l'equiparazione fra figli legittimi e figli naturali perché in un mondo dove le coppie non sposate sono sempre più numerose questa distinzione sembra antistorica e porta al paradosso che due figli di una coppia non sposata non sono fratelli".
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