3 de agosto de 2008

Che fare: andare avanti o mollare tutto?

 

Mercoledì 23 luglio a Margarita Ilario Cappellotto, cittadino italiano, è stato assassinato da due uomini che l'avevano assaltato per rapinarlo. Il commento del nostro inviato dall'isola

Mercoledì mattina il tragico evento che colpisce la comunità italiana a Margarita. Ilario Cappellotto non è più tra noi. Causa? Una rapina terminata nel modo peggiore. Avrei voluto scrivere del Signor Ilario, avrei voluto raccontare non l’evento, ma la sua persona. Un ultimo omaggio, umilmente scritto da chi, purtroppo un’esperienza simile la sente ancora sulla pelle. Non mi è stato concesso, irrintracciabili la moglie e il cognato. Comprensibile, assolutamente da rispettare ogni scelta, anche quella, di rinchiudersi nel dolore, nel silenzio, isolarsi da tutto e tutti e cercare di capire: cosa fare?

Difficile dare una risposta a questa domanda.

Anni fa ho perso mio zio, non due colpi, ma nove. Lì non era una rapina, ma la pazzia di un uomo rivolta verso chi ebbe la sfortuna di essere il vicino di casa dell’assassino. Ragioni diverse, si, ma risultato finale identico: morte persone innocenti e pulite.

La piccola differenza è che il fatto accadde in Italia, a Milano, e fu uno dei primi episodi di ordinaria follia che ormai riempiono i rotocalchi italiani. Mia zia decise di rimanere a Milano, ormai quella era la città dei suoi figli. E un addio alla saudade napoletana.

Ma qui, in un paese dove ormai si vive con il terrore di uscire per strada, dove vige indissolubile l’impunità, vale la pena continuare a viverci?

Nel mio piccolo, discretamente, partecipo al dolore della famiglia Cappellotto, e se potessi li stringerei in un caloroso abbraccio. Dopo un dramma del genere come si va avanti? Dove si trovano le forze per reagire? Con il tempo si troveranno, si andrà avanti, con una ferita nel cuore che mai più si chiuderà, ma chi resta è costretto a dare un senso alla sua vita.

La comunità italiana qui sull’isola è divisa nelle reazioni. Chi preferisce il silenzio o chi fa spallucce, ammettendo che ormai non esce più di casa se non al mattino per un caffè con gli amici.

Chi ha una reazione istintiva e dichiara che ormai è stufo, vuole andare via. Io sono da poco a Margarita, e mi ha sempre incuriosito sapere e capire come fosse l’isola qualche anno fa.

La risposta è unica: non c’è bisogno di andare troppo indietro nel tempo, chi vive a Margarita da anni mi racconta con un pizzico di malinconia che solo 10 anni fa la notte si dormiva con le porte aperte, la sera per strada alla 4 de Mayo (che oggi è una delle strade da non frequentare di notte) e alla Santiago Mariño, il cuore di Porlamar, si incontravano fiumi di persone che passeggiavano fino a notte fonda. Pericoli: zero. Ansie e preoccupazioni lasciate in un cassetto.

Poi c’è stato un cambiamento repentino. L’isola è cresciuta e si è sviluppata, probabilmente ben oltre le sue possibilità. E lo sviluppo, il benessere che è arrivato sull’isola ha portato con sé anche delinquenza e povertà. I continui flussi migratori costituiti da persone di vario ceto sociale che si trasferiscono sull’isola alla ricerca di lavoro o di un tenore di vita migliore rispetto all’entroterra hanno portato con sé anche elementi deprecabili.

Oggi Porlamar e Pampatar sono divenute ormai un’unica città, insopportabile per chi è isolano doc: caos, traffico, smog e paura.

Ormai tanta paura.

Anche il Sambil che era il paradiso della serenità e della sicurezza è sotto assedio: c’è chi racconta che rubano le borse delle compere appena fatte, addirittura la spesa della comida. Non siamo ai livelli dell’entroterra, questo no. Sull’isola si vive discretamente, ma la violenza è arrivata anche qui. Non voglio, forse non posso, puntare il dito contro nessuno, chissà se dichiarerei ciò che pensassi realmente, sarei costretto a prendere il primo volo per l’Italia, di sola andata.

Ma la sensazione che rimane è questa: è una fase critica, quasi anarchica, dove avverti sulla tua pelle di essere solo ed indifeso, dove tante cose non funzionano: dal sistema carcerario a quello giudiziario, anzi, la domanda è se esista un sistema…

Viviamo in un paese meraviglioso, con tantissime risorse e bellezze naturali incredibili, ma quando sei schiavo della paura nulla più ha un senso.

E allora che fare?

Fare marcia indietro o andare avanti?

Io, figlio della Napoli martoriata, della Napoli che ha sempre convissuto con enormi problemi, ma è stata sempre capace di rialzarsi, sono ottimista di natura. Penso sempre che dopo un periodo negativo, una volta che tocchi il fondo non puoi fare altro che risalire.

Come diceva De Filippo: Addà passà a nuttat!

Il Venezuela vive la sua notte più buia, ma il sole tornerà ad irradiare questo paese.

Il problema è capire quante persone la pensano come me…

Gennaro Buonocore - 31/7/08//La Voce d´Italia

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