Tratto da Tribuna Italiana Nº1282/ A cura di: Walter Ciccione: Giornalista della Tribuna Italiana (Argentina). Presidente del Centro Abruzzese di Buenos Aires. Conduttore di "Buonasera Argentina". Nato a Pescara (anno 1939). Residente a Buenos Aires dal 1950.
Molti di noi italiani che viviamo all'estero e proviamo ancora un profondo affetto per la terra che ci ha visto nascere, per i suoi valori e tradizioni, specialmente quelli che riguardano la famiglia, abbiamo incorporato ai nostri intimi sentimenti e perfino nel parlare di ogni giorno, una specie di lingua in codice per far riferimento al nostro Paese d'origine, usando una immagine di famiglia, nella quale la nostra madre è l'Italia, gli italiani residenti nel Bel Paese sono i nostri fratelli e sorelle e riservando u ruolo particolare, quello della moglie, alla terra che abbiamo scelto come seconda patria, l'Argentina.
Ieri, piccola storia di emigrante
Col passare degli anni ci siamo integrati al paese che ci ha offerto le condizioni per farlo. In fondo ai nostri cuori però, conserviamo la nostra condizione di emigrati, coloro che costituiamo l'ultima ondata del dopoguerra. Nella nostra memoria conserviamo come un tesoro una feconda storia di vita, segni indelebili del gruppo di connazionali coi quali abbiamo condiviso la traversata oceanica verso il "Novomondo", gruppo eterogeneo di sopravvissuti di una guerra lacerante, di sognatori, di disperati, di illusi, di pionieri, di frustrati e di bambini, come nel mio caso, con gli sguardi colmi di fantasie, condividendo in solitudine, ansie, sogni e premature nostalgie.
Molto è stato scritto, dibattuto e persino rimproverato da parte di un grande settore di italiani, sulle ragioni che indussero i nostri padri ad avviarsi verso questo moderno esodo, una decisione intima, personale. Marco Basti nel suo fondo di Tribuna Italiana dell'altra settimana "Da De Gasperi a Berlusconi" forse ci offriva un argomento valido quando, tra l'altro scriveva: "…alle parole di Alcide De Gasperi, rivolte ai milioni di italiani che nell'ultimo dopoguerra erano invitati a lasciare il paese per cercare altrove, pane, lavoro e un futuro che, l'Italia non poteva assicurare a tutti i suoi figli. Emigrate, un giorno l'Italia vi sarà grata".
La madre Patria adempì la promessa e durante anni è stata generosa coi suoi figli sparsi per il mondo, ha riconosciuto la valorosa decisione e i sacrifici e prese coscienza che le miliardarie rimesse degli emigrati alle loro famiglie contribuirono a far sì che l'Italia superasse la crisi del dopoguerra e facesse il miracolo economico.
Oggi, crisi e conseguenze
Il terremoto finanziario ed economico che sconvolge il mondo senza risparmiare paesi o classi sociali, con la crisi che suona alle porte, genera preoccupazione in ogni ambito e, naturalmente, anche la comunità italiana subisce gli attacchi su due fronti: su quello argentino e nei rapporti con il governo italiano, che ha assunto un atteggiamento drastico ed è passato da un rapporto armonico con le comunità italiane all'estero ad uno stato di alta tensione.
Il governo del premier Berlusconi sembra sull'orlo di un attacco di panico e tramite i "ministri della paura" ha preso la falce e cieco e sordo, senza anestesia, è partito all'assalto tagliando tutto quanto, nella sua ottica, è superfluo. Il cataclisma ha reso al suolo tutte le nostre deboli attese e i fondi per gli italiani all'estero, previsti nella Finanziaria 2009, sono stati drasticamente ridotti.
Un castigo che ci colpisce moralmente e materialmente, specialmente la comunità italiana in Argentina, dove le successive crisi hanno reso deboli coloro che subiscono di più questa politica, il settore più debole della società, gli anziani poveri nati in Italia, che vedono a rischio il sacrosanto diritto all'assistenza sanitaria, anche se va ricordato che grazie al contratto firmato l'anno scorso con la Swiss Medical, gli oltre ottomila assistiti con tale contratto, sono coperti fino alla fine dell'anno venturo.
Sedotti e abbandonati
Non siamo estranei alla dura realtà economica, ma non riusciamo a nascondere un sentimento di frustrazione verso le autorità italiane per l'insensibilità, il menefreghismo e persino la miopia politica verso l'altra Italia nella quale milioni di concittadini hanno saputo conquistarsi ammirazione e rispetto grazie alla loro creatività e laboriosità ed hanno un ruolo determinante nel portare in alto l'immagine dell'Italia in ogni aspetto, il che si traduce per il Bel Paese non solo in soddisfazioni morali, ma anche in concreti risultati economici.
Il governo imputa come spesa inutile l'assegnazione di fondi per le comunità all'estero, strano atteggiamento di transitare in senso contrario ad altre potenze europee come Francia o Spagna, che considerano i fondi per le loro comunità all'estero un investimento produttivo e una risorsa strategica.
Inoltre non va dimenticata la lettera che ha inviato "agli italiani all'estero", l'allora candidato a premier Berlusconi, durante l'ultima campagna elettorale, nella quale manifestava tra l'altro: "…vi sosterremo con sempre maggiore impegno e cercheremo di intensificare il vostro legame con la madrepatria affinché siate fieri della vostra italianità". Di fronte alla realtà e in preda al sentimento di sentirci "sedotti e abbandonati", l'atteggiamento di indifferenza nei nostri riguardi ci genera certa confusione di sentimenti e la sensazione che i "fratelli d'Italia" sono figli unici e noi, gli stranieri, non siamo considerati nemmeno "cugini di campagna", relegati a una categoria che il rispetto per il lettore mi esime dal qualificare.
Vista la situazione, vale la pena di chiederci se i nostri appelli a sentimenti genuini come solidarietà, giustizia, diritto, gratitudine, avranno l'effetto che cerchiamo o se dall'altra parte dell'oceano pensano solo a quella battuta resa popolare da Bill Clinton: "E' l'economia, stupido".
Cumbre di Buenos Aires
Di fronte a questo stato di cose, i nostri rappresentanti: parlamentari, Comites, Cgie, fanno riunioni e comunicati riaffermando i nostri diritti e, per sensibilizzare il governo perché riveda i tagli, propongono atteggiamenti piu duri, come mobilitare le comunità in manifestazioni pubbliche che, per adesso, rimangono nella carta.
Nel caso di quanti siamo residenti in Argentina, che attraversiamo problematiche diverse da quelle di altri paesi come gli Stati Uniti, l'Australia o i paesi europei, manteniamo lo stesso atteggiamento, sapendo che di fronte alla crisi che stiamo attraversando, non esistono per adesso nè personaggi illuminati nè formule magiche per superarla facilmente.
Le grandi e le piccole potenze mondiali, vista la situazione generale di emergenza, stanno offrendoci però un esempio: i summit, le riunioni al vertice per dibattere e cercare soluzioni e alternative alla situazione.
Fatte salve le distanze, sarebbe opportuno a livello locale di promuovere una specie di "Cumbre de Buenos Aires" che non si limiti ai quattro parlamentari italiani residenti in Argentina - è inquietante che non si siano ancora riuniti - Comites e Cgie, ma che coinvolga anche altri settori rappresentativi della comunità italiana in Argentina, come la FEDITALIA, le varie federazioni, le Associazioni, i Patronati, i giovani che si stanno preparando per partecipare alla Conferenza Nazionale dei Giovani Italiani nel Mondo che si svolgerà a Roma nel mese di dicembre e sulla quale non sappiamo se nel suo programma è incluso il tema dei tagli.
L'obiettivo concreto di questo vertice sarebbe il dibattito sulla situazione per cercare una proposta da presentare di fronte alla crisi dei tagli che circostanzialmente ci mette contro il governo italiano.
Proteste e proposte
Ma visto che “tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare” e conoscendo il nostro modo di essere, non sarebbe semplice organizzare una manifestazione di questo tipo e il primo scoglio da superare, la prova del nove, sarebbe: chi dovrebbe convocarla?
Un interrogativo che lasciamo aperto facendo appello al senso comune. Di fronte ad una situazione di cruda emergenza e visto che siamo una comunità organizzata, dovremmo affrontare la sfida e dare un esempio di civiltà e solidarietà. Pensare a progetti ampi che ci consentano di "vivir con lo nuestro", senza dover dipendere tanto dal governo italiano, per toglierci l'etichetta che ci hanno appiccicato di italiani dell'Argentina che viviamo dell'assistenzialismo.
In uno stato di democrazia è legittimo e a volte anche necessario protestare, manifestare dissenso e in questo campo, la creatività locale con i "cacerolazos", i "piquetes" e persino il famoso "que se vayan todos" si è diffusa in tutto il mondo con il timbro "made in Argentina". Sappiamo però che proteste senza proposte difficilmente portano a buoni risultati.
La storia insegna che prima o poi le crisi sono superate, ci assiste la speranza, e inoltre coviamo alcuni sogni, piccoli ma di grande importanza per noi: da una parte che sia chiaro che non vogliamo fare nostra la canzone: "non piangere per me ...Italia" e dall'altra che il governo di turno smentisca la sensazione che ha un figlio unico, ma milioni di figli, fratelli milioni in Italia e milioni sparsi per il mondo che meritano di essere trattati alla pari dalla madre patria.
TRIBUNA ITALIANA/ WALTER CICCIONE ciccioneg@speedy.com.ar
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