ROMA\ aise\ - L’università di Monte Avila è ai margini della grande vallata dove scorre caotico il traffico di Caracas e affacciandosi sembra quasi di osservare dall’alto la capitale di un paese, il Venezuela, in bilico sul baratro. Il traffico è raddoppiato in pochi anni, molte auto sono l’ultimo modello e sembrano un fiume in piena. Scopri però che questo è soprattutto un modo per investire i soldi per chi non riesce ad esportarli all’estero perché la moneta locale vale sempre di meno. Mentre scarseggiano i beni di prima necessità la benzina continua a costare un solo centesimo di euro al litro (!), ennesima follia di una nazione che sta perdendo ogni senso di equilibrio.Si teme così un nuovo "Caracazo", ovvero il caos, con le sparatorie (nel 1989 ci furono più di 2000 morti per le strade) e la gente ad assaltare i negozi. Politicamente, l’opposizione a Ugo Chavez spesso fa rimpiangere il leader e non sembra in grado di coalizzarsi per dare una alternativa credibile a questa strana dittatura sudamericana fatta di battute in TV, chilometrici discorsi, demagogia e populismo, ma che non manca di organizzare ondate di repressione.Ma qui a Monte Avila, nel silenzio dei corridoi, è nato il movimento studentesco venezuelano – atipico per il panorama europeo – che è stato il grande artefice della sconfitta di Ugo Chavez nel dicembre scorso, quando il presidente è stato battuto nel referendum costituzionale da lui stesso voluto che lo avrebbe nominato a vita capo del paese. Un movimento studentesco fatto da ragazzi per bene, con le facce pulite, moderati nei toni quanto preparati e determinati nella sostanza. Quando tra queste aule è cominciato a crescere il fronte del "no", gli studenti hanno scoperto che dietro di loro c’era la maggioranza del paese, di un Venezuela sfinito dopo le troppe assurdità di un Chavez sempre più demagogico, ma sostanzialmente incapace di affrontare un’economia sempre più disordinata nonostante il fiume di petrolio che esce dal paese, con i prezzi alle stelle, una inflazione spaventosa, corruzione ed inefficienze ad ogni livello.A Caracas ci sono 50 omicidi per week-end, la gente vive (armata) barricata in casa mentre il dissenso dilaga e di questa opposizione sempre più evidente - nonostante le minacce della polizia - gli studenti sono stati il megafono.Eccoli raccolti in aula magna, riuniti in una specie di parlamento dove nessuno urla e dove qualcuno si è già dato alla politica come Freddy Guevara, 22 anni, leader giovanile di "Un nuovo Tempo", partito dell’opposizione diretto da Leopoldo Lopez, il giovane sindaco di Chachao, che - al centro di Caracas – è l’unica parte della città dove si respira aria di efficienza. Oppure Stalin Gonzales, 26 anni, che è invece l’ex leader dei centri studenteschi di tutto il paese e – se le elezioni ancora ci saranno – conta di candidarsi in autunno a guidare l’"Alcadia Libertador", un’altra delle municipalità della città.Tra loro anche degli italiani come Ronel Gaglio, di origini siciliane, o come John Goicoechea conteso dalle TV di mezzo mondo come uomo-immagine della protesta.Colpisce di loro la serietà, la compostezza, quasi la consapevolezza di essere forse l’unica via di uscita di un paese che si sta avvitando su sé stesso. Chavez è stato abbandonato anche da molti fedelissimi (il militare Baduel, per esempio, ha fondato il partito "Podemos" propugnando una sorta di chiavismo senza Chavez), ma gli studenti diffidano e sostanzialmente chiedono una riconciliazione nazionale, con il rispetto dei diritti civili e che soprattutto si intervenga subito e senza demagogia in una economia senza regole fondata sull’assistenzialismo e la corruzione che sta uccidendo il paese.Approfittando dell’alto costo del petrolio, Chavez ha infatti distribuito a milioni di persone – gratuitamente – beni di prima necessità per anni, ma ha ucciso la produzione, il commercio, il tessuto connettivo del paese. Se oggi la benzina costa appunto un centesimo di euro al litro, l’acqua potabile in bottiglia costa cento volte di più e se da una parte non mancano a Caracas le cliniche per i (pochi) miliardari, nei "barrios" l’assistenza sanitaria è quasi inesistente, spariti i medici cubani dei programmi di amicizia con Fidel Castro.Ma, soprattutto, il Venezuela sta diventando un pericoloso bubbone internazionale dove si concentrano trafficanti di armi, centri di riciclaggio di denaro sporco, probabile commercio di organi e crocevia del terrorismo internazionale.Non spaventano tanto le debordanti dichiarazioni di Chavez di apertura agli Ayatollah iraniani, quanto l’appoggio sempre più scoperto del governo venezuelano alle FARC boliviane, il che sta facendo montare una pericolosissima situazione di tensione con Bogotà tanto da far temere possibile una prossima guerra tutta "bolivariana". Negli ultimi tempi, il Venezuela ha acquistato circa 700.000 armi leggere, buona parte delle quali non si sa che fine abbiano fatto e soprattutto in quale mani siano finite, mentre i governatori delle province – sempre più in dissenso con il "presidentissimo" – minacciano apertamente una secessione federale per salvare dal disastro almeno i propri territori.All’università Monte Avila (vicina agli ambienti dell’Opus Dei) l’atmosfera è invece da campus anglosassone, non si nascondono le speranze che sia la Chiesa venezuelana ad essere interprete del dissenso dei diversi ceti sociali, mentre si prepara una classe politica dirigente che forse sarà quella del futuro ma che vuole stare a contatto con il popolo.Una volta di più si guarda all’Europa come punto di riferimento culturale e politico molto di più che non agli Stati Uniti. Si nota però - amaramente e quasi ironicamente - che mentre re Juan Carlos di Spagna non ha esitato a zittire pubblicamente Chavez che insultava in Cile l’ex premier spagnolo Aznar, l’Italia non ha certo fatto lo stesso. Per esempio si è restati sconcertati dalla recente visita di Fausto Bertinotti: il presidente della Camera, infatti, giunto qui (a spese dei contribuenti) in visita ufficiale non ha neppure incontrato la comunità italiana e tanto meno l’opposizione, ma si è chiuso con Chavez nel palazzo presidenziale di Miraflores. "Forse – ironizza qualcuno – a chiedere ed ottenere nuovi finanziamenti per Rifondazione Comunista".Così, mentre si irride alle vicende sentimentali di Chavez con Naomi Campbel la gente non trova il latte per i bambini (il prezzo "ufficiale" è aumentato lunedì scorso del 37%, ma non lo si trova comunque nei negozi) e la gente vive come può.Eppure il Venezuela sarebbe ricchissimo, letteralmente seduto si di un mare di petrolio e con un sottosuolo dove c’è tutto quanto potrebbe bastare a fare prosperare il paese... Ma i tecnici petroliferi locali, minacciati, se ne sono andati da anni, la produzione di greggio è scesa di un milione di barili al giorno e tutto va importato in valuta svalutata, compreso l’85% dei generi alimentari che sarebbero invece disponibili, se solo ci fosse una migliore organizzazione distributiva e produttiva. D’altronde, davanti alla minaccia di occupazione delle terre, gli imprenditori agricoli soprattutto stranieri vendono, chiudono e se ne vanno. "Siamo alla vigilia di grandi cambiamenti – sostengono gli studenti – e dobbiamo prendere atto della recente pochezza politica dell’opposizione, dell’egoismo delle classi più agiate con i miliardi (di dollari) esportati all’estero e le ville con piscina circondate dal filo spinato mentre nei barrios fame e violenza dilagano. Chiediamo una scelta di responsabilità, prima che sia troppo tardi"."Per questo chiediamo all’Italia un aiuto alla verità" sostengono gli studenti e per il nostro paese (che in Venezuela ha centinaia di migliaia di nostri connazionali di prima e seconda generazione) ci sarebbe quindi - una volta di più – la grande occasione di dare voce a questa nuova classe dirigente. Ragazzi che (e lo hanno già dimostrato) se hanno fatto una scelta di non violenza e responsabilità, non intendono più però assistere inermi e silenziosi al disfacimento del proprio paese". (marco zacchera*\aise)
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